Raffaello Simeoni

Mi piaceva andare a trovarlo a casa, ai Pozzi, attraversare il laboratorio di restauro di Rodolfo, pregno del profumo di legni ricercati, di odori antichi e penetranti dove le faccine dei putti ti scrutavano in un angolo e gli attrezzi riposavano appesi ad una parete o sul tavolo, sempre ordinatissimo, di lavoro. E' in questo ambiente rigoroso e affascinante, nella bottega senza tempo di suo padre, nel cuore più antico di Rieti, che Raffaello è cresciuto, ha respirato arte, bellezza, le voci rarefatte di una città, distante pochi metri ma allo stesso tempo lontana, distratta, tutta impegnata allora, a denudarsi del suo passato prossimo, ad abbandonare la fatiscenza dei suoi abbaini, dei piccoli servizi esterni ricavati tra le ringhiere dei balconi, dei sui muri scrostati lasciati furtivamente per quelli più moderni di palazzine di periferia. Oltre il tempo, la sua stanza, la chitarra e il flauto, i dischi dei Quilapayun, degli Inti Illimani, di Alan Stivell, dei Pentangle, dei Jethro Tull. Li ascoltavamo per ore mentre lui disegnava volti, "scolpiti" su qualunque pezzo di carta gli capitasse tra le mani. E' lì che tutto è iniziato, con il respiro del mondo che s'insinuava sotto gli archi dei Pozzi, negli interstizi delle finestre, portando il suo canto di dolore, di speranza, di rivolta, d'amore. Si cantava, si suonava, ci si accalcava dietro il microfono di una radio libera messa in piedi con pochi quattrini e tanta gioventù di cuore. E si partiva, con le tasche quasi vuote, la sacca in spalla e il pollice bene in vista. Ricordo ancora le gote di Dizzy Gillespie gonfiarsi fino all'inverosimile, vecchi pullman abbandonati dove trovare rifugio per la notte, i volti amici di persone che non ci sono più. E poi l'organetto, la zampogna, gli strumenti costruiti artigianalmente con pazienza, esperienza e cura. La scena fiorentina, il dark, l'influenza della cosiddetta " world music" e poi di nuovo verso i vecchi amori, la ricerca, la tradizione e il sogno di una sua continuità nel segno dell'attualizzazione più autentica e profonda. Raffaello è anche questo. Nella sua musica, nella sua voce strepitosa, c'è anche questo. Ascoltando il suo ultimo lavoro "Terre in vista", realizzato insieme a Massimo Giuntini, notissimo maestro di cornamusa irlandese, non può non tornarmi in mente questo cammino particolare, individuale, condiviso con moltissimi altri artisti ma anche in parte, espressione di una generazione di concreti sognatori. E' vero. Non ho parlato dell'ultimo disco di Raffaello. Spero però che quando avrete la possibilità di ascoltarlo, vi arrivi anche l'aroma di una storia indissolubilmente intrecciata con quella della nostra terra ma anche il desiderio di un viaggio senza confini, in cerca sempre di terre in vista, di nuove sponde da cui poi ripartire.


Egisto Fiori

 

Il Pendolino luglio 2012

L'Acustica del Mare Egeo, poesia di Franco Pistoni (sua anche la voce), sembra chiudere il cielo di nubi e poi squarciarlo 'alla ricerca, sempre, di non so più che cosa. Fino alla fine, fino alla fine del mondo'. E Fino alla fine del mondo si slega dalle parole e naviga tra schiuma bianca e pelle bruciata dal sole, tra il suono del rabab e delle congas, diventando coro e lamento, velo di carezze e impulso.